(estratto da «Acta montium. Le malghe delle Giudicarie» – pp. 185-186) Di seguito, come primo contributo presente sul sito actamontium.com, pubblichiamo un estratto del libro su un tema piuttosto complicato e di difficile comprensione ma di un'importanza non indifferente dal punto di vista storico. Si tratta della lite tra la Villa di Roncone e il Concilio di Por del XIII sec., una contesa che a fatica possiamo ricreare grazie alla documentazione pervenutaci. La pergamena in questione, putroppo di difficile lettura, è ciononostante di eccezionale importanza sia per l'epoca - l'inizio dell'apparizione delle fonti scritte nelle nostre valli - che, in particolare, per la modalità processuale lì descritta, con la testimonianza come perno fondamentale del processo. In definitiva un quadro che per questi aspetti e il suo contesto nella Pieve di Bono in via di divisione merita un approfondimento. I primissimi anni del XIII sec. furono protagonisti di un’accesa contesa sviluppatasi in seno alla sempre più divisa Pieve di Bono. Infatti, dal secolo precedente1 la Pieve risultava essere distinta in due parti, con il Reveglèr a far da confine2; tuttavia, almeno per quanto concerne i monti, all’epoca dovevano esistere ancora dei possedimenti in indiviso. È in questo contesto che dobbiamo inserire uno dei documenti più antichi di tutte le nostre Giudicarie, ossia l’Esame di testimoni in una causa tra il Comune di Por e le ville del Concilio di Torra per pascoli3 del ~1200 circa4. Il documento in questione fa parte di una serie di atti processuali che sono andati irrimediabilmente persi; si tratta di una raccolta di deposizioni testimoniali – ventidue5 di più ville – «rese alla presenza di Lanfranco Sindaco della Villa di Roncone6». Scendendo in maggior dettaglio, al centro della vertenza c’era una lite tra la villa di Roncone e il Concilio di Por per i diritti «in Avalena et in Bovignocolo et in Fraino et in Rula7», ossia sui monti di Davalina, Boinòcol, Fraì e Röla. La premessa storica che deve essere fatta è la seguente: al tempo i monti in indiviso venivano sorteggiati e goduti in comune a gruppi di ville sulla falsariga di quello che continuerà ad accadere nei secoli successivi in seno alla ridotta Pieve di Bono al di sotto del Reveglèr. Conferma di questa tesi l’abbiamo dalle domande e le relative risposte che ricaviamo dalle testimonianze raccolte in questa importante pergamena. Dalla serie di deposizioni - piuttosto difficili da leggere poiché frammentarie e monche di alcune parti (oltre che, ahimè, di tutta la premessa) - vogliamo menzionare subito quello che sembrerebbe essere stato il fattore e la causa scatenante di questo processo fondato sui testimoni, come era uso all’epoca, giacché, agli inizi, si diffidava non poco delle fonti scritte8. Assai significativa è in primo luogo la testimonianza di Stephanus de Purro: l’uomo fu testimone di alcune molestie perpetuate dagli uomini di Roncone ai danni del Concilio di Por (Saviè, Polsè e Por stesso) sui monti che erano spettati loro in seguito ad un precedente sorteggio elaborato in seno alla Pieve di Bono9. In particolare, quelli di Roncone - a detta dell’uomo di Por - andarono a pascolare «a forza», senza alcun diritto, sul monte di Püra: in risposta a quest’azione le due parti vennero alle armi («fuimus ad arma10»). Ora, riprendendo anche quanto testimoniato da Donus Iohanes da Purro, lo scontro ebbe luogo «a Pulse» (Polsè); ebbene, tra le file della villa del Concilio di Torra c’era un certo Zanellus Cofa, un uomo - che a detta di quelli di Por - era «multum fortis»11, tanto da incutere timore negli avversari. In realtà, a proposito, non è da escludersi uno scontro a modo giudizio di Dio12, con due campioni rappresentanti le due parti pronti a scontrarsi senza dover ricorrere ad una vera e propria guerra tra le ville, un’eventualità sicuramente malvista dal resto della Pieve di Bono; certo, la dicitura «ad arma» par riferirsi comunque ad un primo scontro collettivo, di gruppo. Dunque, da quanto si evince dalle due testimonianze, a causa della presenza di Zanellus Cofa si giunse ad un concordium, un placitum de montibus - com’è anche detto - che si può dunque considerare quasi come estorto sotto minaccia di violenza. Tale concordium fu enucleato in una «carta facta ab Albertono notario13» («ab Alberto notario» per Martinus Zava14) sotto l’egida dell’intero Concilio di Torra e fu affiancato da una sententia che - testualmente - Hanricus da Savige (Saviè) e (lo stesso?) Cofa da Roncone fecero scrivere. In seguito a questi avvenimenti e al cambium dei monti che ebbe luogo, continua Stephanus de Purro, gli uomini di Roncone migliorarono «in duplum15». Anche Albertonus Peza da Puro sostenne che col «cambio de montibus» questi ottennero un miglioramento, anche se non lo seppe quantificare. Ora, da quanto si può dedurre dalle poche e criptiche testimonianze che ci sono pervenute, qualche decina di anni più tardi (20-30 probabilmente) la questione tornò di stretta attualità: al centro delle testimonianze v’era infatti la legittimità16 o meno di questi diritti che Roncone aveva ottenuto in seguito ai fatti di Polsè. La domanda che più volte viene indirizzata ai testimoni verte quindi sull’effettiva fondatezza dei pretesti vantati da Roncone sui quei monti prima del cambium descritto. Entrando nel dettaglio, in gioco vi sarebbe stata la partecipazione di Roncone ai monti di Davalina, Boinòcol, Fraì e della «quartam partem de Rula» insieme al Concilio di Por e con gli uomini di Tagnè, Ponte e Bregn, ma anche Montè - se come dice Lafrancus da Banallo era da alcuni anni che le ville di Montè, Bregn, Tagnè e Ponte non erano insieme a quella di Roncone17. Infatti, da quanto s’evince dai testi, queste ultime ville - nonostante fossero della Pieve di Bono ab Herta supra - in questo periodo erano nello stesso ‘gruppo’ (se così lo possiamo definire) o parte di una di quelle quattro frazioni (o cinque, a quanto pare) nelle quali la Pieve di Bono intera era divisa al fine della spartizione dei propri monti in indiviso. Ebbene, dalle testimonianze raccolte, Roncone utilizzò questi monti solo dopo il cambium; anche Otto da Pisono sostenne che prima del cambium, Roncone non aveva nulla a che fare con il Concilio di Por. Tra i testimoni, solo Ubertus syndicus (di Roncone probabilmente) - a quanto pare dal testo purtroppo frammentato - sostenne l’esistenza di qualche diritto anche prima del cambium; così si espresse: «partem habebam et petebam et ipsi de Purro mihi vetabant partem in suprascriptis montibus18». D’altro canto, come sostiene Pizolus - sempre di Roncone, dal contesto - la villa di Roncone aveva chiesto ardentemente la «quartam partem de montibus» che li sarebbe dovuta spettare fino al punto di fare «guerram» per ottenerla19 (anche Iohannes de Banallo dice che gli uomini di Roncone erano venuti alle armi «cum vicinis» per il possesso dei monti ossia «causa recuperandi montes20»). Interessante è quindi l’aspetto temporale: Pizolus afferma come siano 22 anni e più che gli uomini di Roncone utilizzano questi monti «in bel concordio sine aliqua molestatione21». Un’ultima informazione che possiamo, sempre a fatica, dedurre da questa antica pergamena, è che il cambium avvenuto in questa seconda metà del XII sec. - facendo i dovuti calcoli - non doveva riguardare la sola Roncone, infatti, a quanto pare, il cambium in questione interessò anche Strada. Tal Martinus de Romagna22 testimonia che è da almeno vent’anni che quelli di Strada erano con quelli «de sut da Riveglero», mentre - significativamente - Starolus afferma che Strada prima del cambium «alpegabat superius», ossia sopra il Reveglèr, e che solo in seguito «remansit de sut23»; così anche Albertus de Tarello («solitus erat stare cum Concilio de Torra superius24»). In conclusione, con le dovute cautele, questo par essere il quadro delle cose disegnato da questa importantissima ma oscura carta; certo, non mancano i dubbi e le possibilità di aver mal interpretato parte delle testimonianze, cionondimeno i fatti salienti paiono chiari. Defilate, rispetto a queste testimonianze, sembrerebbero poi le ville del Concilio di Creto e quelle del Concilio di Merlino25 (entrambi citati, sia pur indirettamente), così come Daone, Agrone, Frugone, Lardaro e Fontanedo26. ** Note: (NB: numerazione variata rispetto a quella presente nel libro) 1. Non pensiamo sia da retrodatarsi ulteriormente, essendo ancora vivi gli strascichi nel processo in corso. 2. Spesso sotto la forma non meglio precisata di «Herta», presumibilmente la salita presente presso i Forti che di fatto coinciderebbe con il Reveglèr. 3. Cfr. G. Papaleoni, Tutte le opere. Le più antiche carte della Valle del Chiese (vol. V), cit., pp. 67-72; così il regesto del Casetti: «A. 1200 circa. Deposizioni testimoniali, rese alla presenza di Lanfranco Sindaco della Villa di Roncone, in una lite con il Concilio di Por circa i diritti sui monti “in Avalena, et in Bouignocolo, et in Fraino et in Rula”, per cui in precedenza gli uomini di Roncone avevan fatto “guerram cum Concilio de Purro” e si era addivenuti ad un accordo o cambio con il Concilio di Torra, estorto con la violenza a causa di Zanello Goff a di Roncone» (A. Casetti, Guida Storico-Archivistica del Trentino, cit., p. 630). 4. «Il Rabensteiner, nel suo Urbario manoscritto delle carte di Roncone, lo ritiene anteriore al 1200; per varie ragioni lo crediamo piuttosto dei primi anni del secolo XIII», così Papaleoni in G. Papaleoni, Tutte le opere. Le più antiche carte della Valle del Chiese (vol. V), cit., p. 67. 5. Più altre otto che il Papaleoni omette «perché senza importanza» (ibidem). 6. A. Casetti, Guida Storico-Archivistica del Trentino, cit., p. 630; si badi che «prima del secolo XV col nome Roncone si indicava la frazione di paese ora detta il Doss, che essendo la maggiore e la più antica finì col dare il nome all’insieme di tutte le frazioni» (G. B. Bazzoli, Roncone nelle Giudicarie - illustrato, cit., p. 11). Invero, se non per queste ragioni, Roncone è diventata la villa capofila per via della sede dell’omonimo Concilio di Roncone. Del resto le ‘frazioni’ di Roncone erano/sono «Anglone, Tagnè, Ponte, Manto (ora Linciola), La fontana (il casone dei Gianmarie), Banal (il nucleo di case che sta sotto la casa comunale), Valer (il nucleo di case dai Trabeschi fino all’attuale asilo), Bregno, Fontanedo» (ibidem). 7. G. Papaleoni, Tutte le opere. Le più antiche carte della Valle del Chiese (vol. V), cit., pp. 67-68. 8. Cfr. Movlina, il Giudizio di Dio e Grüal - p. 411. 9. G. Papaleoni, Tutte le opere. Le più antiche carte della Valle del Chiese (vol. V), cit., p. 70. 10. Ibidem. 11. Si aggiunge «miramur quare iste Zanellus est tam fortis quia nichil nobiscum habet» (ibidem). 12. Cfr. anche qui Movlina, il Giudizio di Dio e Grüal - p. 411. 13. G. Papaleoni, Tutte le opere. Le più antiche carte della Valle del Chiese (vol. V), cit., p. 68. 14. Ivi, p. 67. 15. Ivi, p. 70. 16. Termine improprio, se vogliamo essere precisi. 17. G. Papaleoni, Tutte le opere. Le più antiche carte della Valle del Chiese (vol. V), cit., p. 69. 18. Ivi, p. 71. 19. Ibidem. 20. Ivi, p. 69. 21. Ivi, p. 71. 22. Sia Cologna? ossia la ‘colonia romagna’, ‘colonia arimagna’, ‘dell’arimanno’, come il superiore Castel Romano? Cfr. Romantèra e le ipotesi etimologiche - p. 49. 23. Ivi, p. 68. 24. Ibidem. 25. Nel 1305 Concilio di Praso-Merlino-Sevror (F. Bianchini (a cura di), Pergamene delle Giudicarie I - Pieve di Bono, Archivio Comunale, cit., pp. 1-5). 26. Nel testo, i due testimoni di Fontanedo, ossia Martinus da la Fontana e - a quanto pare - Martinus Zava, pur rispondendo sul caso in questione, ricordano come la loro villa sfruttasse in realtà il monte della Giugia: «quia cazabamus unum nostrum montem qui vocatur Zuza» («Ziesam» per il Martinus Zava) (G. Papaleoni, Tutte le opere. Le più antiche carte della Valle del Chiese (vol. V), cit., pp. 67 e 69), dove il verbo ‘cazabare’ parrebbe riferirsi all’utilizzo delle selve, riferendosi forse al termine gac’ (in merito cfr. Magiasson - p. 198).