Pubblichiamo un nuovo estratto dal libro «Acta montium. Le malghe delle Giudicarie». Partendo dagli albori dell'epopea alpinistica questo saggio percorre la storia del Mandron, una località che nei decenni ha visto tutta l'evoluzione dei ripari d'alta quota, dal più semplice bait di ricovero all'odierno Rifugio Mandron.
Il Mandron, Payer e i rifugi Come abbiamo già avuto modo di accennare, il passato di questa antica ma modesta malga è un tema piuttosto affascinante da affrontare. Da un punto di vista storico, il Mandron è stato a lungo pertinenza del monte di Bédole, un vasto territorio che è stato di proprietà della comunità di Mortaso fino al 19042875. A differenza delle altre mandre collegate a questi possedimenti2876, il Mandron ricopre una superficie non proprio marginale2877. ● Il Mandron nella cartografia primo-ottocentesca - Per iniziare, interessante è il discorso che circonda il nome di questa vasta area; infatti la forma Mandron appare ripetutamente perlopiù nella seconda metà del XIX sec., sulla scia dell’epopea alpinistica; in precedenza, agli inizi del secolo, la forma più importante nella cartografia e nella letteratura è quella di ‘Mandria dal Campo’; così, ad esempio, il Perini2878. Questa forma toponomastica - desueta - era diffusa nella cartografia primo-ottocentesca ad indicare la Vedréta dal Mandron2879. Come capofila2880, la Erste Landesaufnahme von Tirol del 1801–18052881 riporta chiaramente al di qua del confine una «Vedretta dal Mandria di Campo». Medesima cosa vale nella Zweite Landesaufnahme von Tirol del 18202882; in questa carta, significativamente, a fianco2883 della «Vedretta dal Mandria di Campo» si riporta anche una «Ved: di Caresallo» e, al di là del confine, una «Ved: Venezia». Oltre a queste diciture, nelle due già citate carte appaiono altre voci da segnalare. Ad esempio, nella Erste Lande-saufnahme von Tirol appare «Mandron M» e «Vedretta del Marochetto», dunque più ad O abbiamo, curiosamente, il «Lago Bianco» per l’odierno Lago Scuro, il «Dos del Diavolo» per il crinale che va dalla Punta di Segnale alla Punta Pisgana ed infine, a N, il «Dos di Piscanna» per il Còrno di Lago Scuro anziché che per l’attuale Punta Pisgana, posta molto più a S. Nella successiva Zweite Landesaufnahme von Tirol permane l’identificazione del Pisgana con questa cima posta a confine fra le Giudicarie, la Val di Sole e la Val Camonica e anzi, viene aggiunta anche la dicitura «Corno incognito di Pizgana». Ora, al netto di questi vari toponimi, sopravvissuti o no, è interessante sottolineare come siano quantomeno due secoli che esiste il toponimo Mandron, una forma che però deve essere affiancata, come lo è stato al tempo, sia a quella della ‘Mandria dal Campo’ (‘Mandra dal Camp’?) che a quella del «Marochetto», sicuramente parente degli odierni Maròche e Marocaro. ● Da angusto bait a sede di quattro rifugi - La seconda metà del XIX sec., ha visto l’arrivo al Bait dal Mandron di diversi alpinisti che si sono appoggiati a questo scomodo riparo per poter portare a termine le loro grandiose imprese alpinistiche. Su tutti sarà Julius Payer, il grande esploratore boemo, a fare più volte affidamento su questo bait. Fu infatti da qui che Payer partì per giungere per primo sulla cima dell’Adamello (3554 m) il 16 settembre 1864 assieme a Girolamo Botteri2884, la guida di Strembo che ebbe modo di appellare quella cima «la brutta bestia indrio2885». Dalla narrazione del Payer - così come da quella del von Schilcher che vedremo a breve - s’intuisce chiaramente come il Bait dal Mandron fosse al tempo in condizioni infime. Così, ad esempio, ebbe a modo di scrivere l’esploratore boemo nel suo diario in data 4 Settembre 1864: «…in finsterer Nacht kamen wir nach zuletzt raschem Absteigen um 8½ Uhr im verlassenen Baito Mandron an. Dieser, elend und klein, könnte eben so gut die Wohnung eines Kamtschadalen vorstellen und dient Botteri’s Schafhirt für wenige Sommertage zum Aufenthalt2886». Il bait, come sottolinea lo stesso Payer, serviva per pochi giorni d’estate come luogo di riparo per il pastore che portava il proprio gregge di pecore quassù2887. Forse anche per questo motivo - oltre che per l’asperità del luogo in cui si trova2888 - la costruzione era delle più minimali, «misera e piccola» stante proprio le parole del Payer2889. Più precisa, sebbene pur sempre negativa, è la descrizione fatta dal Franz von Schilcher qualche anno più tardi: «Hatte ich mir nun auch nicht vorgestellt, hier ein hôtel à la Grimsel oder Rigi zu finden, so überstieg doch die Wirklichkeit selbst meine bescheidensten Erwartungen. Man denke sich einen höchstens 6 Fuss im Gevierte haltenden Raum, die Wände aus übereinandergelegten Steinen bestehend, überdeckt von einigen grössern Steinplatten, und man hat ungefähr den Grundriss dieses Baito’s, im Vergleiche zu dem das Innere der schlechtesten Alphütten in unserem Gebirge ein Salon zu nennen ist2890». Le forti parole utilizzate dal von Schilcher - «in confronto alla pianta di questo bait, qualsiasi interno dei peggiori bivacchi delle nostre montagne può essere definito un salotto» - non lasciano spazio a dubbi: il Bait dal Mandron era un modestissimo riparo d’alta quota, funzionale forse, ma dei più angusti e scomodi. Tuttavia le cattive condizioni di questo riparo non riguardavano solo la struttura in sé, anche la sua posizione infatti, fra le asperità dell’alta Val Gènua, costituiva senz’altro un problema2891. Nel corso di pochi anni, dopo Julius Payer, il Bait dal Mandron assunse una grande fama: fu menzionato dal Ball nella sua opera del 18662892, da Gustavo Siber-Gysi nella sua narrazione Il Monte Adamello del 18712893, dal già citato Von Schilcher nel 18742894 ed infine dal Freshfield nella sua famosa pubblicazione sulle Alpi del 18752895. Ebbene, viste le pessime condizioni dell’unico riparo presente in questa zona, un luogo strategico così importante ai fini alpinistici, presto ci si mosse per la costruzione di un vero rifugio, capace di ospitare più persone in miglior modo2896. Fu così che nel 1879 «…intervenne il Club alpino tedesco di Lipsia che costruì […] a quota 2420 circa, a breve distanza dal “baito alto” ormai cadente, un solido ricovero in pietra ad un solo piano2897». Nacque così la Mandronhütte (2422 m)2898, primo rifugio realizzato in queste terre tuttora visitabile: infatti, grazie all’intervento del 1994 di SAT e Museo Tridentino di Scienze Naturali, la storica Mandronhütte è stata ristrutturata ed è divenuta il Centro Studi Adamello “Julius Payer”, un locale dedicato allo studio della glaciologia e alle trasformazioni che stanno caratterizzando il ghiacciaio antistante l’ex rifugio. Tuttavia, ben presto, «l’afflusso di alpinisti, specialmente tedeschi, divenne subito notevole, facilitato anche dal sentiero Bedole-Mandrone che il solitario prof. Migotti aveva nel frattempo tracciato e ben segnato2899»; così, viste le esigenze sempre maggiori, la costruzione della Mandronhütte divenne a sua volta piccola e limitativa. Si mosse ancora la sezione del ‘Deutscher und Österreichischer Alpenverein’ (DuÖAV) di Lipsia: infatti fu ad essa, che nel 1892 Mortaso vendette «circa duemila metri quadrati sul Mondron2900» per la costruzione del secondo rifugio. Nel 1896 sorse la Leipzigerhütte, il Rifugio Lipsia (2419 m), «un nuovo e più grande rifugio in muratura, alto due piani con un vasto sotto-tetto2901» costruito proprio di fronte alla vecchia Mandronhütte. Il Rifugio Lipsia era un vero e proprio rifugio alpino, pienamente funzionale; così lo descrisse il Kuntze nella sua celebre guida turistica sul circondario di Madonna di Campiglio: «Presso il ghiacciaio del Mandrón la neo costituita Leipziger Hütte del Deutscher und Oesterreichischer Alpen-Verein offre comodo alloggio, con possibilità di riscaldamento, per 28 persone. Essa comprende al pianoterra una grande stanza per ospiti, una cucina e due stanze, al primo piano due stanze e uno stanzone per dormire, al secondo piano quattro stanze con dodici letti singoli2902». Ma la moderna struttura non ebbe grande fortuna: era appena stato stipulato nel luglio 1913 «il contratto di affitto per 90 anni di mille metri quadrati sul “Mandron” […] al Club Alpino Austro- Germanico di Lipsia2903», quando, tre anni dopo, nel 1916, il Rifugio Lipsia «venne distrutto dalle cannonate italiane nel corso della “grande guerra”2904». Quel che resta del rifugio lo si può vedere ancora ogni volta che si sale al Mandron: imponenti ruderi dei muri in granito che sostenevano la struttura, un’immagine malinconica, pensando ai molti sacrifici che la sezione di Lipsia doveva aver fatto per realizzare una costruzione del genere, in quel periodo e a questa quota.
(estratto da «Michele Bella - Acta montium. Le malghe delle Giudicarie» – pp. 314-316)
Nel primo dopoguerra, con l’annessione all’Italia, finì anche la presenza del DuÖAV al Mandron: il 28 luglio 1937 quest’area diventò «di proprietà del CAI Cremona per la somma di Lire 12.500». La vecchia Mandronhütte fu intitolata «alla memoria dei Fratelli Carlo e Gianfranco Lanfranchi, caduti in guerra, la cui Famiglia versò alla Sezione un contributo per opere di ricostruzione2905» e ripristinata, divenendo il Rifugio Lanfranchi ‘al Mandron’. Tuttavia, anche per il CAI di Cremona la gestione del rifugio non fu delle più fortunate. Infatti, da lì a poco il secondo conflitto mondiale avrebbe lasciato, indirettamente quantomeno, le sue tracce. Ebbene, «un’accurata ispezione dei Dirigenti del CAI Cremona nel giugno 1946 accertava che il tetto del Mandròn era rotto, porte e finestre sfondate, l’attrezzatura mancante2906». Iniziò il periodo di declino del già piccolo Rifugio Lanfranchi, una perdita d’importanza che si concluse nel 1959, quando, il 17 marzo «un’assemblea straordinaria approvava, con molta amarezza, la cessione alla SAT del vecchio Mandròn che diventerà parte integrante del nuovo Città di Trento2907». Infatti, proprio l’anno precedente, nel 1958, la ‘Società Alpinisti Tridentini’ aveva costruito il Rifugio Mandron ‘Città di Trento’ «entro una vasta area rettangolare di mq. 5000 donata […] dal Comune di Strembo2908». Il nuovo rifugio, che a differenza degli altri sorge qualche centinaio di metri più ad O, a quota 2449 m, è ben più grande del Lanfranchi e nelle sue camerate può ospitare fi no a 100 persone. Nella seconda metà del secolo scorso la vecchia Mandronhütte - ossia il Lanfranchi - cadde in rovina e fu «adibito a ricovero invernale aperto2909»; le condizioni della struttura peggiorarono sempre più fin quando, come abbiamo già ricordato, nel 1994 la SAT, assieme al Museo Tridentino di Scienze Naturali, provvide al recupero della struttura e alla creazione del Centro Studi Adamello “Julius Payer”.
2875. Cfr. Bédole - p. 307. 2876. Ossia, sostanzialmente, Mataròt Afta e Dosson. 2877. Da qui, evidentemente, l’accrescitivo di ‘mandra’. 2878. «Il Perini chiama sempre Mandria da Campo il Mandron», così il Lorenzi (E. Lorenzi, Dizionario Toponomastico Tridentino,cit., p. 394). 2879. Par naturale considerare queste diciture come forme per il Mandron malga. 2880. Viste le diverse novità, frutto probabilmente di una raccolta di toponimi da informatori locali del periodo. 2881. Historische Kartenwerke Tirol, Erste Landesaufnahme von Tirol 1801–1805, Sektion 1. LA 126 (mit Anhang) (1801/1805), Tiroler Landesarchiv. 2882. Historische Kartenwerke Tirol, Zweite Landesaufnahme von Tirol 1816–1821, Sektion 2. LA 118 (1820) Ult. Kessler, Pinzolo/Carisolo, Österreichisches Staatsarchiv. 2883. Ad O, presso il confi ne che correva lungo il crinale dell’Adamello. 2884. Cfr. J. Payer, Die Adamello-Presanella-Alpen, cit., pp. 27-30. 2885. Ivi, p. 26. 2886. Ivi, p. 24. 2887. Dalla letteratura si traggono quindi anche importanti conclusioni circa l’ultimo periodo in cui il Bait dal Mandron e i suoi pascoli sono stati monticati. 2888. Perdipiù quasi totalmente privo di vegetazione d’alto fusto. 2889. Nel 1868, ritornato in Val Gènua, il Payer aggiunse ancora: «Holzmangel hatte uns bisher genöthigt, den kleinen Schweineschluppen zu verbrennen; diessmal schliefen wir, um uns zu erwärmen, alle fünf auf der schmalen Pritsche des Baito, - es war so eng, dass, als ich in der Nacht eine Bewegung mit dem Knie riskirte, in Folge der sofortigen Mittheilung derselben Alle erwachten» (J. Payer, Die Centralen Ortler-Alpen (Gebiete: Martell, Laas und Saent) nebst einem Anhange zu den Ada-mello-Presanella-Alpen des Ergänzungsheftes n° 17, cit., p. 32). 2890. F. v. Schilcher, Ueber die Adamello-Presanella-Gruppe und die Besteigung des Corno bianco und des Adamello, in ‘Zeitschrift des Deutschen und Österreichi-schen Alpenvereins’, Band V, München, Comm der J. Lindauer’schen Buchhand-lung, 1874, p. 101; che continua: «In einer Ecke brennt ein kleines Feuerlein - denn auch das Holz ist hier oben rar - und in der hintern Wand befi ndet sich unter der Decke ein schmaler Raum, der nun für zwei Personen Platz zur Liegerstätte bietet; ein paar alte Schaff elle dienen als Unterlage. Ein dreibeiniger Schemel, eine Pfanne und eine eiserne Schaufel machen den ganzen Hausrath aus» (ibidem). 2891. In aggiunta al fattore climatico, sia in termini di freddo che temporali, v’erano anche altre eventualità da tenere presenti. A questo punto non possiamo non riportare questo fatto del tutto curioso - riportato dallo stesso Von Schilcher - che dimostra come la convivenza con l’orso fosse anche allora piuttosto sentita, specie per le greggi: «Doch eines hätte ich bald vergessen, eine Pistole, weniger zur Vertheidigung, als zur Abschreckung des argen Feindes auf diesen Högen, des Bären, der schon manches fette Schaf aus der Heerde davongetragen» (ivi, p. 102), e addirittura, «Die ganze Nacht über muss einer der Hirten vor der Hütte Wache stehen und brennt von Zeit zu Zeit einen Schuss ab, der donnerndes Echo hervorruft» (ibidem). 2892. «Two passes from the head of Val di Genova to Val Camonica are known to the native hunters, both leading to Ponte di Legno through Val delle Susine (Val di Narcane of the Austrian map). In approaching these, and indeed in all the ascents hitherto made from the head of Val di Genova, the uniform course has been to ascend along the steep course of a torrent that falls into the valley from the N. close to the malga of Bedole. After a steep climb of 1,800 ft., the traveller fi nds himself on a level with the top of the precipices, enclosing the head of the valley, and ascending slightly in an easterly direction, he will before long reach a shepherd’s hut, or Man-dron, which has supplied shelter to some of the explorers of this region» (J. Ball, The Central Alps, cit., p. 476). 2893. «Il silenzio perfetto, la solitudine grandiosa di queste regioni squallide e ge-late, le tinte sempre più austre e fredde che ci andavano assumendo d’intorno le rupi, destavano in noi impressioni profonde e incancellabili. Payer le paragona tanto più giustamente ai paesaggi polari che, come dissi, le più alte cime sorpassando di poco l’elevatissimo mare gelato, appaiono realmente come tante isole e scogli sorgenti dalle onde» (G. Siber-Gysi, Il Monte Adamello, Narrazione di Gustavo Siber-Gysi, in ‘Bollettino del Club Alpino Italiano’, Vol. V., N. 18., Torino, Tipografi a G. Can-deletti, 1871, p. 274); Siber-Gysi continua poi, dando importante testimonianza: «Costeggiando l’ondeggiato gigantesco torrente gelato, speravamo di poter calare a valle, una volta giunti alla grande balza, in fondo alla quale, a 500 metri sotto di noi, le malghe di Venezia e di Bedole, e il bel bosco che le separa, c’invitavano a discendere. […] Dopo mezz’ora d’inutile esplorazione lungo ertissimi pendii rivestiti di sdrucciolevoli festuche, sotto il sole cocente di mezzogiorno, fu forza rinunciare all’impresa e risalire, onde rintracciare un sentiero che dai laghi di Mandrone conduce a valle, passando per la malga di Mandrone; ma per quanto c’inerpicassimo, non ci fu dato di rintracciarlo, sebbene non mancassero quei innumerevoli sentieruoli incrociantisi in ogni direzione, che scavano nei pascoli alpini le mandre di capre e pecore» (ivi, p. 277). 2894. Così l’alpinista racconta l’arrivo nell’estate 1873 al Bait dal Mandron: «Bereits begann es zu dämmern, als wir die südlichen Hänge des Marocaro passirten und es erforderte die genaue Terrainkenntniss eines Botteri, um ohne Irrgänge zur Mandronhütte zu gelangen, deren Nähe uns eine durch unsere Ankunft aufgescheuchte Schafheerde ankündigte, deren Wächter, ein grosser zottiger Hund, laut bellend und Zähne fl etschend auf uns zusprang» (F. v. Schilcher, Ueber die Ada-mello-Presanella-Gruppe und die Besteigung des Corno bianco und des Adamello, cit., p. 101). 2895. «To reach the upper pasturages and the hut of Mandron, sometimes very needlessly used as night-quarters by foreign climbers, it is necessary to turn northwards and hit on a rough track which finds a way up the crags near a slender waterfall. A herdsman with a lantern guided us up the steepest part of the ascent, and was then sent back, leaving us and our Swiss guides to fi nd our own way, a task to which we were all pretty well accustomed» (D. W. Freshfi eld, Italian Alps - Sketches in the mountains of Ticino, Lombardy, The Trentino, and Venetia, cit., p. 211). 2896. Il ‘manifesto’, se così lo possiamo chiamare, sulle ragioni e gli ideali che hanno spinto la sezione di Dresda del DuÖAV a costruire - per primi - un rifugio alpino al Mandron è tutto nelle belle righe che ci ha lasciato V. H. Schnorr nel suo saggio Hochtouren in der Brenta- und Adamello-Presanella-Gruppe del 1879: «In den Abendstunden stiegen wir durch das Val Marocāro hinauf zu der Mandronhütte, die wir gegen 8 U. erreichten. 3 Hirten und 4 Touristen sollten in der elenden Hütte Schutz vor der kalten Nacht und Schalf fi nden. Wir sagten uns, dass hier in der That eine Alpenvereinshütte so recht am Platze sein würde, und es verdient wohl die Section Leipzig ganz besondern Dank dafür, dass sie den Bau einer solchen unternommen und nahezu vollendet hat. Die Erforschung der Ada-mello-Gruppe wird dadurch sicherlich gefördert werden. Gutmüthig räumten aber auch hier die Besitzer des Baito uns ihre Lagerstätten ein, während sie selbst am Feuer die Nacht durchwachten oder in ihre Mäntel gehüllt ihre Pfleglinge, pracht-volle Schafe, beaufsichtigten» (V. H. Schnorr, Hochtouren in der Brenta- und Adamello-Presanella-Gruppe, in Zeitschrift des Deutschen und Österreichischen Alpenvereins, cit., p. 136). Schnorr così, poeticamente, continua il suo racconto: «Lange Zeit sassen auch wir noch vor der Hütte, denn die Nacht war von zauberi-scher Wirkung. Ueber uns wölbte sich der sternenklare Himmel, an den Gletschern drüben glitzerte und strahlte das silberne Mondlicht, in der Tiefe rauschten geheim-nissvoll die Gewässer, getränkt von den leuchtenden Schneefelderd. Und drüben an den benachbarten Felswänden kletterten unsere Hirten umher, um die Verirrten ihrer Heerde heimzuführen, und sangen Weisen in die schweigsame Nacht hinein» (ibidem). 2897. L. Viazzi, La Val di Genova e l’alta via di Lares-Carè Alto: l’ultimo paradiso delle Alpi, cit., p. 177. 2898. Si dovrebbe chiamare ‘Rifugio Mandron’, ma preferiamo la forma tedesca per non creare confusione con quello odierno. 2899. L. Viazzi, La Val di Genova e l’alta via di Lares-Carè Alto: l’ultimo paradiso delle Alpi, cit., p. 177. 2900. G. Botteri “Gambin” (a cura di), Strembo e la sua Val Genova, cit., p. 23. 2901. L. Viazzi, La Val di Genova e l’alta via di Lares-Carè Alto: l’ultimo paradiso delle Alpi, cit., p. 177. 2902. M. Kuntze, Die Siedelung Madonna di Campiglio und ihre Umgebung, cit., p. 33. 2903. G. Botteri “Gambin” (a cura di), Strembo e la sua Val Genova, cit., p. 24; vi si aggiunge: «i tedeschi hanno già costruito sul pianoro che lambisce i ghiacciai il capiente rifugio ed ora progettano di costruire sul nuovo terreno “una stalla e un essicatoio, quale accessorio dell’attuale rifugio”» (ibidem). 2904. L. Viazzi, La Val di Genova e l’alta via di Lares-Carè Alto: l’ultimo paradiso delle Alpi, cit., p. 177. 2905. G. Leonardi - V. Ducoli, Mandron Lanfranchi, in ‘Rendena’, 02/1994, Tione, Ediren (Editrice Rendena), 1994, p. 14. 2906. Ivi, p. 15; grassetto nostro. 2907. Ibidem. 2908. L. Viazzi, La Val di Genova e l’alta via di Lares-Carè Alto: l’ultimo paradiso delle Alpi, cit., p. 181. 2909. Ivi, p. 180.